SI PUO' ANCORA PARLARE DI VERGINITA'?
L’argomento di cui vorrei trattare stasera è delicato e controverso…nel senso che per alcuni è importante e attuale, per altri è retrogrado, superato; per qualcuno ha una connotazione valoriale positiva, per altri invece è un retaggio negativo della forma più bieca del patriarcato.
Sto parlando della verginità.
L’idea è nata poche settimane fa, dopo aver tenuto una formazione a un gruppo di educatrici della sessualità. Tra il materiale, proponevo una scheda per trattare l’argomento con gli adolescenti e diverse di loro sono state piacevolmente stupite da fatto che fosse un argomento degno di essere affrontato con i ragazzi e soprattutto le ragazze di oggi.
Per la verità, come al solito, non è facile esplorare tutti i risvolti compresi in questa tematica, proviamo perciò a fare un passettino alla volta, cercando di mettere alcuni punti fermi e disponendoci ad osservare punti di vista differenti tra loro, alla ricerca di una possibile sintesi o almeno di qualche punto di incontro.
Prima di affrontare riflessioni valoriali e spunti educativi, può essere utile fare una ricognizione più ampia che tenga conto del contesto socioculturale attuale, nel quale siamo immersi tutti, compresi i giovani a cui si rivolge la nostra attenzione e a cui questi valori vorremmo trasmettere, desiderando che li facciano propri e che possano illuminarli nella loro vita relazionale e affettiva. Temo quindi che il discorso non si esaurirà nello spazio che abbiamo a disposizione stasera, ma probabilmente continuerà in un successivo appuntamento.
Inizio osservando che il significato che diamo alla parola verginità ha due sfumature:
-una legata al comportamento sessuale: la verginità è la condizione in cui non si abbia ancora iniziato ad avere rapporti sessuali
-una riferita ad uno stato di purezza che ha valore positivo di tipo spirituale, morale.
Si usa infatti, definire “verginale” uno sguardo o una posa ingenui e privi di malizia, un corpo (femminile) immaturo, in boccio, non ancora adulto, legando il concetto della verginità alla giovane età, alla fanciullezza.
Se però vogliamo essere pignoli, scopriamo che l’aggettivo “vergine”, oltre che per indicare una persona che non ha avuto rapporti, o che non ne prevede come scelta di vita, è usato anche con un’altra accezione, riferita non a persone ma a cose, che per me è piuttosto significativa: parliamo di lana vergine, olio (extra)vergine, foresta vergine…pellicola vergine (prima dell’avvento della fotografia digitale!)
tutte espressioni che indicano uno stato di purezza, di integrità, di conservazione dello stato primario, di mancanza di manipolazione o esposizione ad agenti esterni.
In questo caso vergine vuol dire nuovo, intatto, non ancora usato.
Apro una parentesi: tanto tempo fa, in un libro di cui non ricordo il titolo, ho letto un concetto che mi ha colpito molto e che si rifà appunto all’idea che vergine significa nuovo, non usato: l’autore diceva che più giorni passiamo sulla terra meno siamo vergini, nel senso che la vita, il tempo, l’esperienza ci svela, ci istruisce, ci consuma, ci trasforma. Mi piace questa idea che la verginità è qualcosa che man mano si abbandona percorrendo la propria strada, e la sua dissolvenza il segno di quanto ci siamo spesi nella vita, il fatto di non essersi risparmiati.
Questa immagine, forse suggestiva (almeno per me, che sono …diciamo…nella seconda metà del mio percorso, che mi fa guardare indietro con tenerezza e un po’ di nostalgia) non è però il punto in questione!
Il tema della verginità è legato alla “prima volta”, all’iniziazione verso la sessualità agita attraverso il corpo, e nello specifico nella gestualità che coinvolge gli organi genitali.
Parlando in generale, ogni “prima volta” è importante, perché segna l’inizio di qualcosa fino a quel momento sconosciuto, quindi apre gli occhi, la mente e il cuore ad una conoscenza ulteriore, sia di sé che del mondo. Inoltre, la prima volta lascia un imprinting, un ricordo impresso nel cervello che funzionerà come unità di misura per valutare le esperienze successive, e influenzerà il sistema di timore o aspettativa rispetto al futuro. Ogni “prima volta” è importante, quindi: il primo giorno di scuola, il primo volo in aereo, la prima sbornia, il primo bacio…anche quando vengono dimenticate, le nostre prime volte ci hanno plasmati e restano come sottofondo ad accompagnare le nostre esperienze successive.
Una cosa che si può dire di sicuro è che la PRIMA volta, per definizione, è UNICA, una volta “fatta” non si può “disfare”
Il primo rapporto sessuale è il gesto che in qualche modo sancisce l’ingresso nel mondo adulto, o almeno permette a chi lo vive di intuire la portata, il potenziale racchiuso nel nostro essere sessuati.
Come ho già avuto modo di dire tante volte, è un gesto che coinvolge tutta la persona: corpo, psiche, spirito…anche quando non ne siamo consapevoli. Quindi è presumibile che la prima volta che lo si viva avvenga un cambiamento in tutta la persona: corpo, mente e spirito
Partendo dal corpo (che è sempre il mio preferito!) incontriamo uno dei nodi cruciali legati all’argomento verginità: l’apparato genitale femminile, naturalmente ricettivo e composto da organi adatti ad accogliere un altro da sé (la vagina accoglie il pene, l’utero accoglie il bambino) presenta un piccolo lembo di tessuto mucoso, una bordatura che circonda l’ingresso della vagina, chiamata imene; questo bordo, più o meno elastico, può modificarsi durante i primi rapporti, arrivando a subire piccole lacerazioni con conseguente perdita di sangue.
Nel corpo maschile invece non si riscontra solitamente nessuna modificazione degli organi coinvolti nel rapporto, tranne nel caso si verifichino piccoli traumi al prepuzio, la membrana che ricopre la parte terminale del pene, e al frenulo al quale è collegato. In quel caso però si tratta di qualcosa che viene considerato più come problematico che fisiologico, qualcosa da indagare e a cui eventualmente porre rimedio.
Questa differenza anatomica ha avuto una grande influenza a livello culturale, perché ha consolidato l’idea che sia possibile verificare oggettivamente la verginità femminile, mentre è invece impossibile farlo con la verginità maschile. Di conseguenza si è ritenuto necessario, onorevole, che la donna si mantenesse integra per il suo sposo, mentre non si dava la stessa importanza all’”integrità” maschile, suggerendo al contrario che un uomo avesse il diritto/dovere di fare esperienza prima di incontrarsi con la donna che sarebbe diventata la madre dei suoi figli.
L’importanza che si è data in passato (ma direi anche oggi in alcune parti del mondo) alla verginità intesa come integrità dell’imene ha contribuito grandemente alla diseguaglianza di genere, lasciando sulle spalle delle donne il peso di un giudizio sociale, l’onere della prova della loro rispettabilità. Ovviamente, per sopravvivere, le donne hanno trovato gli espedienti per rimediare al pericolo di essere marchiate come indegne, per esempio provocandosi volontariamente piccoli sanguinamenti la prima notte di nozze o, in tempi più recenti, sottoponendosi a interventi chirurgici di imenoplastica per “sembrare come nuove”.
Attualmente il mondo scientifico è concorde nel dire che è difficile se non impossibile riconoscere con certezza se l’imene di una donna è stato modificato in seguito al primo rapporto sessuale, sia per la grande variabilità anatomica, sia perché l’eventuale modifica può avvenire accidentalmente per motivi diversi (traumi, attività sportiva, assorbenti interni) in tempi precedenti l’inizio dell’attività sessuale. La visita medica che certifica la verginità è ritenuta dall’OMS obsoleta a livello clinico e anzi lesiva della dignità delle donne (spesso ragazzine) obbligate a sottoporvisi, solitamente dai genitori.
Personalmente, quando negli incontri di educazione sessuale con gli adolescenti parlo dell’imene, mi piace dire che l’importanza che si attribuiva a questo piccolo lembo mucoso (soprattutto pensando al matrimonio come istituzione sociale) era vista come la garanzia di avere una sposa tutta nuova, così come per tanti uomini è importante comprare una macchina appena immatricolata invece di una di seconda mano. Questa accezione della verginità e della donna è svilente e arbitraria e attualmente non è accettabile, se mai lo fosse in passato, perché il valore di una persona non è dato dalla storia vissuta prima del matrimonio.
D’altro parte, però, la presenza dell’imene richiama alla verginità come valore, cioè come consapevolezza dell’importanza di alcuni gesti, che generano un cambiamento, un passaggio da un prima e un dopo da cui non c’è ritorno, tanto che esso resta scritto (o può essere riconosciuto) nel corpo e quindi sappiamo che lo sarà, scritto, anche nella psiche e nello spirito. Se la verginità quindi è un valore, lo è per tutti, maschi e femmine, anche se nei ragazzi non resta traccia (almeno visibile) nel corpo.
Ecco, il primo punto fermo che mi sento di sottolineare è questo: nel momento in cui si crede al valore della verginità, questo travalica le differenze di genere. Educare quindi all’attesa, alla consapevolezza, alla preparazione del dono di sé all’altro riguarda in egual misura ragazzi e ragazze.
Mi fa piacere notare che, a dispetto di tutte le accuse di colpevolizzare e inibire le donne che la società laica continua a rivolgerle, la religione cattolica, che riconosce la verginità come un valore importante, lo ritiene tale indifferentemente per i maschi e per le femmine. Questo per la verità vale anche per altre religioni, come l’islamismo; come a dire che è stata poi la natura umana, colla sua tendenza a prevaricare sui più deboli, che ha portato alla deriva sessista di cui ancora troviamo numerose evidenze ai giorni nostri.
È comunque chiaro ai giovani e giovanissimi di oggi che la perdita della verginità, così come la chiamano, riguarda l’inizio dell’attività sessuale e nelle numerose interviste che si trovano sui canali social la stessa domanda (a che età hai perso la verginità?) viene rivolta sia ai maschi che alle femmine, domanda alla quale non tutti scelgono di rispondere, sia per paura del giudizio che per il desiderio di mantenere questa informazione nell’ambito della riservatezza; entrambe le motivazioni sono a mio parere comprensibili, perché anche per la maggior parte dei giovani, apparentemente disinibiti e super esposti ad ogni tipo di informazione, quella della sessualità rimane una sfera privata e sensibile.
Di certo la società passa loro il messaggio che non c’è nessun problema ad entrare nel mondo della sessualità attiva, e che conviene loro fare esperienze utili per conoscere se stessi, il proprio corpo, cosa piace, da che tipo di persona ci si sente attratti ecc. In questo fanno scuola tantissimi film e serie televisive rivolte a teenagers, alcune più esplicite di altre. Tra quelle italiane ci sono DI4RI, SCAM ITALIA e 5 MINUTI PRIMA, che mi ha colpito particolarmente (nel senso che la sua originalità, anche dal punto di vista grafico, mi suscita diverse perplessità) perché affronta il tema specifico della “prima volta” e sembra riflettere abbastanza bene lo stato confusionale, i dubbi e le contraddizioni di adulti e adolescenti.
La questione della “prima volta” è comunque molto sentita dai ragazzi, a giudicare dalle domande che pongono durante gli incontri di educazione sessuale nelle scuole. I dubbi e le paure sono spesso legati all’insicurezza, al timore di non essere all’altezza e di esporsi al giudizio, a cui si aggiunge per le femmine la paura di provare dolore e per i maschi la paura di provocarlo.
È importante ribadire a questo punto che il dolore che si può sperimentare durante un rapporto (la prima volta come anche in altre successive) non è per forza dovuta alla famosa lacerazione dell’imene, che abbiamo visto non è quello che succede di solito; è molto più probabile che esso derivi da una eccessiva tensione o contrazione dei muscoli pelvici e della stessa vagina, che è un organo muscolare, non pronta ad accogliere il pene. Inutile dire che questa impreparazione, questa chiusura se non questo rifiuto all’accoglienza del corpo dell’altro possono essere il segnale che il corpo, le emozioni e la volontà non sono ben sincronizzate e preparate per questa esperienza. Nelle donne il dolore è sempre un segnale importante, che può guidarle a farsi le domande giuste su quello che stanno vivendo.
Se c’è un elemento che i ragazzi, quando esprimono le loro considerazioni e preoccupazioni sul primo rapporto, scarsamente prendono in considerazione, così come anche molti esperti e sessuologi che danno consigli, è che i gesti della sessualità hanno una natura profondamente relazionale, quindi non è irrilevante -anzi è di vitale importanza- LA PERSONA con cui sto facendo questa esperienza; non ha senso parlare di esperienze sessuali in astratto, ha senso solo parlare di quella esperienza CON TE, perché senza te non c’è neanche l’esperienza (es.: una giovane sposa mi raccontava che alla domanda della sua amica “allora, è bello fare l’amore?” rispondeva: “non lo so se è bello fare l’amore, so che è bello per me farlo con mio marito!”); quindi anche il discorso sulla prima volta non può prescindere dalla persona con cui questa prima volta l’ho vissuta, o penso o desidero viverla.
Questo mi sembra il secondo punto fermo che mi sento di riconoscere: il passaggio dall’essere vergine al non esserlo più avviene attraverso l’incontro con qualcuno che, suo malgrado, diventa responsabile, co-protagonista di questa transizione. Ecco che allora si comprende perché un’altra domanda ricorrete posta dagli e dalle adolescenti è: “come faccio a capire che è la persona giusta?”
Domanda bellissima, che denota il desiderio di incontrarla, la persona giusta! Domanda più che legittima e intelligente, alla quale però generalmente un adulto non si sente in grado di dare una risposta definitiva, cogliendone la grande portata…
Trovo un aiuto in questo senso proponendo una riflessione sul significato da dare al rapporto sessuale, partendo dalla casa atre piani.
Fermandosi al primo piano (corpo) la persona giusta è quella che mi provoca desiderio ed eccitazione e ricambi interesse e desiderio (candidati: numerosi)
Secondo piano (emozioni)- la persona giusta è quella a cui sono legata affettivamente, che considero importante, che mi fa stare bene (candidati: solitamente uno -almeno uno alla volta- col quale c’è un legame esclusivo, almeno temporaneo)
Terzo piano (libertà, coscienza) - la persona giusta a è colei/colui con cui condivido un percorso di crescita relazionale proiettato al futuro (candidati: colui/colei per cui vale la pena aspettare)
Ragionare insieme ai ragazzi sul significato che riveste per loro il rapporto sessuale li aiuta a responsabilizzarsi riguardo alle scelte che fanno.
Bisogna dire che la nostra cultura del “tutto subito” non aiuta a predisporsi con pazienza ad aspettare un bene futuro rinunciando a quello che offre il presente…per questo non è raro sentire i ragazzi e le ragazze esprimere il loro desiderio di incontrare la persona giusta con cui fare una famiglia in futuro, mentre nel frattempo, vivono relazioni “passeggere” per divertirsi e fare esperienza, a volte facendo fatica a distinguere i confini tra rapporto di amicizia e rapporto di coppia.
La proposta quindi di vivere la verginità come valore in attesa di un’unione significativa, esclusiva, progettuale (quella che per i credenti è la scelta del sacramento del matrimonio) non è facile da fare e soprattutto da motivare ai ragazzi di oggi. Va comunque offerta come possibilità, nella misura in cui noi adulti ci crediamo.
Però, una volta riconosciuta la verginità come valore, dal punto di vista educativo, come posso aiutare un ragazzo o una ragazza a capire cosa vuole farsene, di questo valore? Come il modo di percepire la verginità mi aiuta a vivere bene le relazioni affettive? Come mi educa all’amore?
Questo è per la verità un tema che interessa molto ai ragazzi, perché li interpella sul SENSO del loro agire e del loro sentire.
Per facilitare la messa in gioco dei ragazzi, solitamente uso la strategia di ribaltare le posizioni e quindi chiedere a loro che ne pensano della verginità, quanto è importante, cosa vogliono farne (o cosa ne hanno già fatto).
Propongo quindi tre modi di pensare alla verginità: come qualcosa da perdere, come qualcosa da donare e come qualcosa da ritrovare.
Perdere la verginità è un modo di esprimersi molto comune. Personalmente è un’espressione che mi dà sui nervi perché quando mi capita di perdere qualcosa non è una bella esperienza! Infatti, come ci si sente quando capita di perdere qualcosa a cui teniamo? siamo frustrati, arrabbiati, dispiaciuti…ogni volta che ripenso all’accaduto ho il rimpianto di non essere stato attento, di essere stato ingenuo o superficiale, di aver fatto una figuraccia…insomma non un bel ricordo. Quindi se la verginità è preziosa, perché mai vorrei perderla? che senso ha scegliere di perdere una cosa che per me è importante? Do ovviamente per scontato che parliamo di gesti scelti, non frutto di costrizione o violenza.
Quindi perché voglio perderla, questa verginità?
A volte si ha l’impressione che occorra affrontare questo passaggio per superare un’ansia, tipo: via il dente, via il dolore. Nascosta dietro a questo atteggiamento c’è forse la paura del dolore della prima volta (più per le ragazze) o di essere considerati imbranati, incapaci (più per i ragazzi); c’è anche il desiderio di sentirsi accettati, di sentirsi come gli altri, o di farsi vedere disinibiti, grandi agli occhi dei pari; c’è la curiosità di provare quelle emozioni e quel piacere tanto decantato, tanto ostentato da film, serie, video, canzoni. C’è il bisogno di liberarsi della propria immagine infantile e di ribellarsi alle regole famigliari, di dimostrare indipendenza.
Di fatto con queste motivazioni è facile concentrarsi più sull’esperienza in sé che sulla persona con cui realizzarla, certo quindi non il modo migliore per cementare una relazione; senza pensare che spesso le prime esperienze possono essere, diciamo, non proprio all’altezza delle aspettative, se non addirittura fallimentari. Viverle con una persona che conosco poco e di cui mi fido relativamente o con cui non c’è grande sintonia davvero è il presupposto perché in futuro possa ripensare alla verginità come una perdita che rimpiango.
Su questo punto conviene fare una riflessione, perché in ambito sessuologico è abbastanza frequente, quando si presentano persone con situazioni problematiche, risalire a “prime volte” traumatiche, poco serene, percepite come un errore…insomma proprio come la sensazione di avere “perso” quell’unica occasione.
Sempre nell’ambito della consulenza, si trovano situazioni che confermano come per molti quella prima e unica occasione venga percepita come importante. Diverse persone, più donne ma anche uomini, non più adolescenti ma ancora vergini, raccontano la reticenza del partner nel momento in cui viene comunicata la loro inesperienza. Sapere di avere a che fare con una ragazza, magari venticinquenne/trentenne che non ha mai avuto rapporti funziona da deterrente, spesso gli uomini non se la sentono di approfittare della situazione o addirittura di iniziare una relazione.
Il motivo?
Forse sono preoccupati dell’inesperienza della donna, o forse sono intimiditi e non si sentono all’altezza di aspettative che immaginano troppo elevate, o forse anche non se la sentono di prendersi la responsabilità di essere proprio loro i primi. I più cinici o maliziosi possono temere che l’astinenza della donna nasconda qualche difficoltà psicologica o sessuale. È vero anche che spesso è proprio lo specialista che paventa questa ipotesi, proponendo indagini che escludano vaginismo o disturbi del desiderio. Paradossalmente, quello che prima per gli uomini veniva vissuto come un diritto e un privilegio naturale (far perdere la verginità alla propria donna) adesso viene percepito come una responsabilità che non ci si sente di affrontare.
In questo i tempi sono davvero cambiati, almeno nella società occidentale. Tanto che mi torna alla mente un brano di un testo di educazione sessuale rivolto ai giovanissimi che mi ha colpito perché, rispetto al rapporto sessuale scrive: “esistono tanti tipi diversi di rapporti sessuali, per esempio due persone possono toccarsi reciprocamente i genitali, oppure stimolarli usando la bocca, o fare in modo che la vagina accolga il pene”. In questo modo tutti questi gesti vengono equiparati, messi sullo stesso piano, lasciando che sia la soggettività a definire la realtà…le parole acquistano un significato sempre più sfumato e mutevole e diventa sempre più difficile comprendersi. Se durante un intervento in una classe chiedessi agli studenti se qualcuno ha già avuto rapporti sessuali, dovrei poi indagare per capire cosa ognuno di loro inserisce in questo termine diventato una specie di contenitore. Capiamo anche che, in quest’ottica, il concetto di verginità perde praticamente ogni valore se non proprio il senso.
Così come purtroppo rischia di perdere senso e di venire svilita la sessualità intera, ridotta a sperimentazione e fonte di piacere fuggevole, spesso di insoddisfazione, di difficoltà a instaurare relazioni profonde, di rischio all’esposizione mediatica e tanto altro.
Quindi verginità da perdere (direi in questo caso anche come concetto!) come qualcosa di cui liberarsi, magari in fretta, per non pensarci più: non la migliore delle scelte, dal mio punto di vista.
La seconda suggestione è: verginità come qualcosa da donare. Questa è un'espressione che mi piace molto, e per chiarirla anche in questo caso mi rifaccio al vissuto: provo a ripensare a quando mi capita di fare un dono: solitamente è un segno d'amore, di gratitudine, è il desiderio di portare gioia a una persona particolare. A volte si dona a qualcuno qualcosa di estremamente significativo per sé, perché chi lo riceve possa ricordarci per sempre. Quando faccio un dono ho presente la persona che lo riceve, il desiderio è di farla felice, di lasciare un ricordo, di creare un legame, di rimanergli vicino anche spiritualmente.
Donare la verginità, invece che perderla, significa che ogni volta che ripenserò a quanto successo ne proverò compiacimento, tenerezza, magari rassicurazione sulla bontà della scelta fatta; il ricordo di quel momento accrescerà l'amore per la persona con cui ho condiviso l'esperienza, se stiamo continuando a camminare insieme...o proverò un senso di affetto e gratitudine anche se il legame si è interrotto.
Donare la propria verginità, condividerla con un'altra persona significa fare una scelta di consapevolezza. Al contrario di quanto dicevo sul perdere, donare implica la ricerca della persona, del momento e del contesto giusto.
Donare la verginità significa avere a cuore, dare importanza alla relazione entro la quale questa esperienza si realizza, alla persona con cui si condivide questo momento.
Alla domanda: qual è il momento giusto, sinceramente nessuno se non gli interessati possono rispondere, quello che si può fare è suggerire i criteri che mi permettono di fare il giusto discernimento. Mi ripeto, dicendo che questi criteri sono quelli che tengono conto di tutti gli aspetti che compongono la persona: corpo, psiche, spirito. Nel rispetto e in armonia con tutti questi fattori insieme, il momento giusto si può dire quello in cui la pulsione, l'attrazione fisica si coniuga con il coinvolgimento sentimentale, quando vedo nell'altro un bene unico, prezioso; quando la conoscenza reciproca ci permette di stare uno di fronte all'altro senza difese, sicuri di essere accolti così come siamo, senza vergognarsi delle reciproche fragilità; quando il pensiero del mio stare con l'altro diventa desiderio di qualcosa che si prolunghi nel tempo, che generi un futuro insieme.
In questo contesto l'attesa acquista senso e valore e non è una frustrazione, un impaziente impedimento, un vincolo imposto dall'esterno.
Mi viene spontaneo notare quanto sia difficile che i giovani riescano a vivere questa attesa in modo fecondo, e quanto invece essa finisca non raramente per creare problemi quando si protrae troppo a lungo. Mi è capitato più volte di incontrare coppie che, dopo aver vissuto a lungo la castità prematrimoniale, hanno incontrato difficoltà significative per raggiungere l'intesa sessuale. Un motivo possibile è l'aver interiorizzato un'idea della sessualità come vietata o negativa e di aver vissuto l'astinenza come un rifugio o una imposizione invece che come una scelta per prepararsi ad una pienezza futura. come genitori ed educatori, soprattutto in ambito cristiano, dobbiamo interrogarci sulla nostra responsabilità: siamo stati capaci di trasmettere non un divieto colpevolizzante ma una proposta di percorso, impegnativo ma appagante, a servizio del bene personale, della coppia, del futuro matrimonio?
Perché se la verginità viene percepita solo come divieto di avere rapporti sessuali, è facile sentirsi legittimati a sperimentare tutto quanto non comporta la penetrazione, alla ricerca di quelle sensazioni, quelle emozioni e quel piacere che l’unione sessuale naturalmente realizza. Come immagine mi viene in mente quella situazione in cui devo aspettare a scartare un regalo il giorno del mio compleanno o a Natale, ma nel frattempo, curioso e impaziente lo scuoto, lo tasto, ci sbircio dentro e così quando sarà il momento non ci sarà più novità né sorpresa…
Ma la castità, di cui la verginità è una sezione, è la virtù di usare gesti trasparenti, rispettosi, senza strumentalizzazioni o secondi fini. Mi verrebbe da dire che, per essere virtuosa, la verginità prematrimoniale deve essere vissuta come una scelta e non come un obbligo; come una proposta di cui fidarsi e non come una rinuncia frustrante.
Quindi verginità come dono reciproco da condividere con qualcuno degno di accoglierlo e capace di apprezzarlo
Che dire invece della verginità da ritrovare?
Forse che il fatto di averla "persa", nel senso che intendevo prima, non significa che si è perso tutto... Dicevo nello scorso intervento che in passato (e forse anche oggi in alcuni contesti) la perdita della verginità da parte di una donna con qualcuno che non fosse suo marito la esponeva al biasimo e ne intaccava la dignità, cosa di per sé arbitraria e ingiustificabile (ricordiamo l’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra”)
Di fatto, a molte persone sarà capitato di approcciarsi alla sessualità con poca consapevolezza, in modo affrettato, forse anche forzato, accorgendosi di aver sbagliato…a volte è proprio dopo aver fatto qualcosa che sembrava giusto che ci accorgiamo di aver sbagliato!
Insegnando i metodi naturali di conoscenza della fertilità, diverse volte ho incontrato coppie di fidanzati che, dopo avere avuto rapporti all’inizio della loro relazione, hanno scelto di vivere un fidanzamento casto, in attesa del matrimonio, maturando così nella consapevolezza di quanto quelle esperienze precoci fossero incomplete, premature; di come fosse conveniente attendere la pienezza del matrimonio per vivere e gustare al meglio la totalità dell’incontro sessuale.
A dimostrazione che, se non si può cancellare quello che è già stato, non si può tornare indietro, non si può riavere quell’imene che non c’è più, quello che si può ritrovare è l’integrità di un cuore capace di donarsi nuovo, sincero, tutto intero, alla persona amata, senza timore di essere giudicati per le passate fragilità e le presenti imperfezioni; amarsi e accogliersi ad occhi aperti, riconoscendo che tutti, continuamente, siamo soggetti a sbagli, limiti, e che l’amore guarda non al passato ma al presente e si proietta verso un futuro insieme.
Perché è l’amore che fa nuove le cose; una coppia che si ama vive la novità ad ogni incontro, perché in ogni unione sperimenta il reciproco dono di sé e realizza il passaggio a un dopo, in cui l’amore è cresciuto, fortificato, rinnovato.
La verginità della coppia diventa così l’integrità del cuore e dell’animo che desiderano continuare a donarsi reciprocamente.
valore morale, retaggio anacronistico, condizione simbolica: come parlare di verginità ai giovani? Partendo dalla convinzione che, qualunque esso sia, il suo significato trascende le differenze di genere e orienta il comportamento sessuale della persona e della coppia.
11.11..2023-13.01.2024

